28/04/2024

Alla Regione del Veneto

Area Tutela e Sicurezza del Territorio

Direzione Ambiente e Transizione Ecologica

U.O. Ciclo dei Rifiuti ed Economia Circolare

Palazzo Linetti – Calle priuli,99 – Cannaregio

30121 VENEZIA

Pec: ambiente@pec.regione.veneto.it

OGGETTO: adozione dell’aggiornamento del piano regionale di gestione dei rifiuti urbani

e speciali e del rapporto ambientale preliminare con delibera di giunta regionale n.1458

del 25/10/2021, pubblicata sul bur n.147 del 05/11/2021

OSSERVAZIONI di Associazioni, Comitati e Cittadini NO alla Quarta Linea dell’inceneritore di S. Lazzaro

Dopo le enunciazioni di rito sulla necessità di adeguare la pianificazione regionale ai recenti principi della legislazione europea sull’ economia circolare con recupero di materia, viene indicata “La strategia di collocamento del rifiuto urbano residuo come misura correttiva principale” del PRGR.

L’azione principale di Piano è quella di “permettere l’avvio prioritario a recupero di energia, saturandone la capacità impiantistica disponibile, prima dello smaltimento in discarica”

In sostanza si sceglie di puntare sugli inceneritori, fino alla saturazione della loro capacità – che si prevede di aumentare – ed in seconda battuta sulle discariche.

A PAG. 55 (ALLEGATO A – Capitolo 1.1.3) si scrive:

La vigente pianificazione dava evidenza di una capacità di trattamento installata dei 3 impianti di incenerimento esistenti (Padova, Schio e Venezia) pari a circa 300 mila tonnellate/anno, a cui si andavano ad aggiungere le 70.000 t/anno di CSS oggetto di convenzione per l’utilizzo nella Centrale ENEL di Fusina. ……. Sarà quindi necessario spingere sull’avvio a recupero energetico dei rifiuti con prioritaria saturazione della capacità di incenerimento, in prospettiva pari a circa 381 mila tonnellate/anno”; più sotto a pag. 9495, troviamo: “La capacità impiantistica disponibile…Nel periodo pianificatorio potrà arrivare a circa 380 mila tonnellate all’anno per l’entrata in funzione di linee già autorizzate e l’efficientamento di impianti esistenti, attraverso il revamping di linee obsolete”

Prendiamo atto che la Regione aveva deciso da tempo (almeno ottobre 2021) di approvare la quarta linea di S. Lazzaro, a prescindere da Osservazioni e Inchiesta Pubblica, ben prima di rilasciare le autorizzazioni di VIA e PAUR (dicembre 2021).

Dal 2026 si prevede un aumento di 100.000 t/a di capacità di incenerimento (in realtà, secondo i dati Arpav, i rifiuti inceneriti nel 2019 sono 239.000 t. e nel 2020 sono 241.000 t. quindi l’incenerito aumenterebbe di 140.000 t/a), senza una valutazione d’impatto ambientale, perché “L’impatto di un inceneritore dotato di BAT sulla qualità dell’aria è talmente basso da essere indiscernibile e compatibile con le emissioni di attività urbana”. 

La Regione sposa in pieno il punto di vista del gestore, ignorando le recenti raccomandazioni europee, che non finanziano tali impianti, in quanto producono quantità rilevanti di CO2, aggravando il riscaldamento globale, inquinano l’aria e l’acqua, danneggiano l’economia circolare, impedendo il recupero di materia.

Nelle Osservazioni presentate in fase di autorizzazione del progetto è stato dimostrato come la quarta linea, bruciando migliaia di tonnellate di rifiuti in più, aumenterà l’emissione di polveri sottili PM10 di circa 700 kg/anno (per la maggior parte polveri ultrafini, con diametro inferiore a 2,5 µ, le più pericolose in quanto arrivano direttamente nel sangue con il loro carico di elementi nocivi); aumenteranno anche gli Ossidi di Azoto, gli Idrocarburi Aromatici Policiclici (IPA), le Diossine, i PCB ed altri composti sconosciuti e non quantificati.

Nell’area dell’impianto ed in tutta la città saranno peggiorate le condizioni di inquinamento atmosferico, che sono attualmente già critiche – soprattutto riguardo a polveri fini e ultrafini ed agli IPA –  per i quali occorrono fin da subito interventi non di incremento, ma di mitigazione, per es. la chiusura delle linee 1 e 2, che tutti, compreso il gestore, dicono obsolete ed inquinanti, ma che si vogliono tenere in vita fino al 2025 almeno.

Si punta tutto sull’incenerimento, mascherato come recupero di energia, che viene presentato come opzione avente la stessa valenza del recupero di materia, cioè come facente parte dell’economia circolare, mentre non è così.

La combustione non è di per sé forma sostenibile di produzione di energia, e le sostanze bruciate rientrano nella filiera fossile: l’energia derivata dalla combustione di rifiuti non è pulita, né rinnovabile; inoltre il recupero di energia dissipa materia e la stessa energia che è stata necessaria per produrla.

Valorizzare il recupero di energia viene messo sul medesimo piano del recupero di materia, ma è anch’esso un’azione residuale come il collocamento in discarica, da preferire a quest’ultimo non perché rappresenti la soluzione ottimale ma solo in prospettiva di un suo progressivo esautoramento, come nella ratio di tutta la normativa europea.

Peraltro in contraddizione con quanto oggi affermato, nel piano 2015 veniva scritto (pag. 168) “Gli impianti […] non si possono classificare come impianti di recupero energetico in quanto nello stato attuale non rispettano i criteri definiti in tal senso in sede comunitaria. Risulta pertanto evidente che dovrà essere previsto, per quanto possibile, il miglioramento del recupero, implementandolo con il recupero del calore” recupero già allora previsto per la linea 3 dell’inceneritore di Padova, ma mai attuato per ovvi motivi infrastrutturali ed economici, come si verificherà per la linea 4.

Da notare che le Multiutility con i grandi impianti di incenerimento tendono a concentrare la ricchezza, senza aumentare l’occupazione, mentre i numerosi soggetti e imprese delle filiere del recupero e riciclo, offrono un modello di distribuzione della ricchezza, aumentando l’occupazione, compresa quella di qualità, per le necessità di innovazione tecnologica.

La soluzione ottimale rimane il recupero di materia spinto, che deve seguire ritmi che marcano una netta discontinuità rispetto al presente, se si intende conformarsi alle emergenze ambientali ed economiche attuali.                                                                                                                                            

Nella regione i bacini di Treviso e Belluno sono esempi virtuosi di raccolta differenziata spinta con marcata riduzione del rifiuto totale e residuo procapite, tanto da essere ai vertici della classifica nazionale.  

Tali risultati vanno generalizzati attivamente da subito, La raccolta porta a porta con tariffazione puntuale, la raccolta differenziata di pannolini e pannoloni e di tessuti devono essere applicate in tutti i Bacini.

Nelle realtà come Padova che non raggiungono neppure la quota di RD prevista a livello nazionale, risulta controproducente e contrario agli obiettivi del Piano applicare correttivi come l’Indice di Complessità del Territorio (ICT), per giustificare la persistenza di elevati quantitativi di rifiuto urbano residuo (RUR).

L’ICT deve essere cancellato: il flusso turistico e l’afflusso di pendolari si possono governare introducendo gli opportuni dispositivi per ridurre e differenziare, anziché fornire alibi per differenziare meno e bruciare di più (ai Bacini territoriali di Belluno, Padova Centro, Venezia, Verona Città e Verona Nord, per un totale di 2.028.827 abitanti, si concederebbe la possibilità di aumentare la loro produzione di RUR per 61.000 t/a),  alibi di cui non si sente il bisogno, per es. a Padova, dove Hera raccoglie e brucia, in palese conflitto di interessi; è qui che Regione e Comune devono intervenire, rompendo tale commistione di interessi economici.

In uno scenario di piano non basta prevedere incentivi generici e passaggi a maglie larghe, lasciando che sia il mercato ad allocare attività da cui dipendono obiettivi cruciali di riduzione dei rifiuti a monte.                                                                                                                                                                            Devono essere previsti concreti interventi, governati pubblicamente, per l’istituzione di Centri di Preparazione per il Riutilizzo identificati tramite la definizione di caratteristiche precise, nelle forme giuridiche esistenti.   

Tali strutture devono sorgere in spazi adeguati al tipo di trattamento di cui necessitano i beni dismessi, con magazzini per lo stoccaggio ed aree dedicate alla riparazione e alla vendita, dotandosi di software di gestione e in grado di realizzare economie di scala, eventualmente contigui ma distaccati dai centri di raccolta.  Deve trattarsi di aree in cui si svolge una vera e propria attività di tipo circolare, con criteri di economicità ed efficienza produttiva, in grado di fare sistema con altri punti della filiera. 

Nella previsione di aumentare il tasso di riciclaggio e di incentivare e incrementare lo sviluppo di nuove filiere strategiche di recupero, deve essere previsto un graduale aumento dei nuovi impianti o una riconversione di quelli non compatibili con l’economia circolare, anche in vista della nuova normativa che impone di estendere la differenziata al tessile e che dovrà avere come necessaria ricaduta la costruzione di una rete di infrastrutture per recuperare materia dai relativi scarti, che si ritiene debba essere realizzata secondo un preciso piano di implementazione e con i relativi timing.

Deve essere prevista la realizzazione di nuovi impianti, finalizzati al recupero spinto di materia dai rifiuti, separandola per farla rientrare nel ciclo del prodotto; i 7 TMB esistenti (definiti inefficienti e antieconomici, tanto da non figurare più negli impianti strategici del Piano), se possibile, vanno riconvertiti oppure sostituiti con impianti tecnologicamente avanzati per il recupero dei materiali.

Si tratta di sistemi che lavorano mediante separazioni di vario tipo (dimensionale, densimetrico, ottico, manuale, magnetico, ecc.) variamente combinate, in grado di incidere soprattutto sulle frazioni ad elevato PCI (materiali cellulosici e plastici), miranti al recupero: la Regione deve prevedere e stanziare fondi per attivare ed incentivare impianti di recupero dei materiali.

Il recupero è utile in particolare per comparti giudicati ad alta impronta ambientale dagli stessi documenti citati nel Piano, come quello edilizio, in vista di una netta riduzione nell’impiego di materia prima vergine in settori che subiscono criticità nell’attuale crisi da scarsità, secondo un modello di sviluppo che abbandoni un estrattivismo non più praticabile, né possibile.

Del pari è importante che, per sgravare in modo crescente i gradini più bassi della gerarchia, vale a dire incenerimento e discarica, vengano più concretamente pilotate le scelte delle imprese, del consumatore e delle pubbliche amministrazioni verso prodotti derivanti da filiere circolari.                    

Prevedere incentivi per l’adozione volontaria di modelli virtuosi, non è sufficiente.

Occorrono anche opportuni disincentivi e obblighi (es. una vera e propria messa al bando dei contenitori di plastica negli appalti per servizio mensa nelle pubbliche amministrazioni e nei servizi, norme che disincentivino progressivamente l’adozione di imballaggi di plastica dei prodotti, alimentari e non, nella GDO) necessari a rendere estese e cogenti le buone pratiche delle imprese e dei consumatori ed a favorire scelte ecologicamente incisive negli appalti.

Il piano prevede, al 2030, nell’ipotesi migliore “ottima performance”

  • un progressivo, tendenziale aumento dei Rifiuti Urbani (da 2.300.000 t/anno a 2.500.000), (il che non deve realizzarsi per le azioni previste di riduzione dei rifiuti).
  • Un quantitativo di RUR di 80 Kg/ab (che, confrontato con il quantitativo attuale di 109 kg, si pone in linea con una riconversione lenta e non risolutiva del ciclo)
  • una capacità di trattamento degli impianti di incenerimento pari a complessive 380.000 t /a

Le varie ipotesi di questo piano 2020-2030 sono fatte su capacità di incenerimento dal 2019 al 2024 di 282.000 t/anno. In realtà la quantità incenerita è stata nel 2019 di 239.000 t. e nel 2020 di 241.000 t. ben al di sotto delle 282.000 t.

Nonostante la sovraestimazione della capacità di incenerimento, alla fine questo piano non risolve il problema delle discariche perché nel 2030 ci si troverebbe, nello scenario migliore, con tutte le discariche quasi esaurite e con una capacità di ricevimento residua dal 2030 di sole altre 107.000 t.

Alla luce dei seguenti elementi:

  • previsione di un trend demografico sostanzialmente statico (quando non in diminuzione) nel decennio 2020-30,
  • tendenza alla sostanziale stabilizzazione dei RU negli ultimi 20 anni, dal 2000 al 2019.
  • prospettiva di crescente dematerializzazione e digitalizzazione dell’economia,
  • quantità incenerite nel 2020 pari a 241000 t/a complessive (Arpav)

Le cifre inserite nel piano prefigurano un limitato intervento sui livelli alti della gerarchia dei rifiuti, quindi una sostanziale continuità con la situazione attuale, che vede l’aumento dei rifiuti prodotti e il mancato raggiungimento degli obiettivi di differenziata in alcuni bacini come PD centro, VR città, Rovigo, Venezia (dati ARPAV).

È necessario invece procedere a una netta diminuzione dei rifiuti prodotti e a un netto miglioramento nelle percentuali di differenziata tramite sistemi domiciliari a tariffazione puntuale, che devono essere generalizzati, per ottemperare a una prospettiva di rottura della continuità e non solo di modesto decremento dei modelli economici lineari.

La proposta risolutiva è quella di arrivare al 2030 ad una riduzione drastica del Rifiuto Urbano totale e del Rifiuto Residuo che renda superflua la costruzione della Linea 4 di Padova (autorizzata nel dicembre 2021) e la linea di Fusina (entrata in funzione nel dicembre 2020).

  1. riduzione del rifiuto prodotto a 1.465.000 t/a pari a 300 kg/ab/a (la regione deve investire in soluzioni vere e non semplici enunciazioni, mentre il piano prevede per il 2030 un aumento dei RU totali a 508 kg/ab/anno, rispetto all’attuale di 456 kg/a/a)
  2. il residuo secco RUR deve diminuire a 176.000 t/a pari a 36 kg/a/a (nel 2020 il bacino destra Piave è a 42 kg/a/a e la Sinistra Piave a 46 kg/a/a)
  3. la raccolta differenziata deve essere portata a 88% (come lo è nel 2020 nella provincia di Treviso)
  4. il tasso di riciclo (77%) deve rimanere in proporzione come nel 2019 o aumentare (bisogna puntare anche sulla qualità della RD)
  5. in questa maniera il secco più gli scarti si ridurranno a 216.000 t/a, i due inceneritori attuali (Linea 3 di S. Lazzaro e Schio) bruceranno 177.000 t/a e in discarica nel 2030 andranno solo 39.000 t/a

I quantitativi sono evidenziati nello schema riportato sotto

Il TMB di Fusina va riconvertito: il CSS non deve essere più prodotto; il centro storico di Venezia e isole devono raccogliere separatamente l’umido, come si fa nel resto della regione.

Il CSS (combustibile solido secondario) è un prodotto inquinante sia nella fase di produzione che in quella di utilizzo come combustibile: i cementifici che bruciano CSS emettono in atmosfera, oltre a polveri sottili e gas, più Diossine e derivati e più Mercurio, Piombo, Cadmio ed altri metalli pesanti; inoltre le ceneri tossiche dei rifiuti derivate dalla combustione finiscono nel cemento, con possibili danni alla salute per gli operai e gli utilizzatori.

Per tali motivi il CSS ha poco mercato: non c’è motivo perchè la Regione debba sostenerne l’utilizzo come combustibile, se non per favorire i piani e gli interessi del gestore.

Riguardo agli impianti di recupero della frazione organica, il Piano Regionale deve prevedere finanziamenti e incentivi per i piccoli impianti di compostaggio aerobico, impianti di prossimità con capacità massima di 20.000 t/anno, che producono un ottimo compost per l’agricoltura che può essere utilizzato direttamente sul terreno come fertilizzante.

I grandi impianti di compostaggio anaerobico con produzione di biometano (tuttora incentivati a livello nazionale) liberano grandi quantità di CO2 e metano (gas climalteranti), producono cattivi odori, inquinamento da traffico di mezzi pesanti, scarti e rifiuti, presentano rischi di esplosione dei serbatoi e quindi problemi di sicurezza. Inoltre il digestato prodotto risulta troppo aggressivo per il terreno e non utile come fertilizzante.  

La produzione di biometano e di metano da compostaggio anaerobico non rientra nell’economia circolare.

Riguardo ai Rifiuti Speciali la strategia della Regione punta sempre sull’incenerimento, almeno per i non pericolosi, che occupano nelle discariche il posto dei rifiuti urbani.

Non si fanno quantitativi definiti di rifiuti speciali da avviare all’incenerimento, ma si suggerisce che, qualora i rifiuti urbani residui dovessero diminuire, i rifiuti speciali, attualmente inviati in discarica o fuori regione potrebbero validamente sostituirli (tesi più volte ribadita da Hestambiente).

Non viene minimamente considerato il fatto che bruciare rifiuti speciali può comportare un ulteriore aumento delle emissioni di determinati inquinanti, per es. Diossine nel caso di rifiuti di materie plastiche o PFAS nel caso dei fanghi da depurazione.  Anche qui si sposano le tesi e gli interessi dei gestori, senza considerare i danni all’ambiente e alla salute umana.

I rifiuti speciali non devono essere inceneriti: il Piano deve puntare su riduzione, riuso, riciclo e recupero di materiali, con azioni specifiche, come proposto dalle associazioni di categoria (vedi proposte operative per la gestione dei rifiuti nei distretti della Concia e del Legno).

Anche nel caso dei materiali contenenti le PFAS, compresi i percolati di discarica, si insiste con la combustione, solo rinviata nelle intenzioni regionali a quando saranno disponibili impianti sperimentali o tecnologie applicabili agli impianti esistenti, anche se la ricerca e la sperimentazione scientifica non escludono il danno alla salute e all’ambiente nella combustione delle sostanze PFAS.

L’incenerimento non è in condizione di garantire la compatibilità ambientale dello smaltimento di rifiuti di questo tipo e non si conforma al principio di precauzione da invocare in casi come questi.

Il rischio è che nel bruciamento si realizzi una distruzione incompleta delle PFAS, con formazione di altri composti florurati, per lo più sconosciuti e non identificabili, che vengono dispersi nell’ambiente dal camino: l’incenerimento non risolve il problema della contaminazione da PFAS ma, con un circolo vizioso perverso, può riversare nuovamente nell’aria e nel suolo gran parte di queste sostanze, creando nel contempo composti ancora più tossici per l’uomo e per l’ambiente. 

Devono essere sempre applicati il principio di precauzione e le cautele atte ad impedire diffusione di queste sostanze molto persistenti nell’ambiente e molto pericolose per la salute.

Le medesime precauzioni vanno applicate al trattamento dei fanghi degli impianti di depurazione civili e industriali, frequentemente contaminati dalle PFAS: le analisi da effettuare prima del trattamento devono comprendere, oltre agli usuali inquinanti inorganici e organici, anche la ricerca ed il dosaggio di queste sostanze.

In caso di risultato positivo i fanghi non possono essere bruciati, ma vanno smaltiti come di consueto tramite condensazione/estrazione della fase liquida in cui si concentrano le PFAS e avviati in discariche autorizzate.

Il fatto di lasciare completamente alle Province l’onere di controllare lo smaltimento di apparecchi contenenti PCB e PCT è discutibile, anche se si tratta di pochi casi, perché ARPAV dovrebbe almeno garantire supporto ed effettuare una supervisione.

Del tutto deludente il Piano Regionale di Bonifica delle Aree Inquinate

Non c’è l’anagrafe né l’elenco dei siti contaminati.

Non sono indicate le priorità di intervento e tantomeno il fabbisogno economico.

Il piano è tutto da costruire: mancando le indicazioni necessarie per attivare le bonifiche, non è possibile concorrere ai finanziamenti nazionali e del PNRR.

Alla luce di quanto sopra esposto, il Piano Regionale di Gestione dei Rifiuti va radicalmente modificato, come prevedono le recenti norme europee, privilegiando le fasi di riduzione, recupero e riciclo e lasciando incenerimento e discariche in fase residuale, senza prevedere alcun aumento dei rifiuti inceneriti, rispetto agli anni recenti.

Chiediamo che alle presenti osservazioni vengano date nelle sedi e nei modi opportuni approfondite risposte.

Battaini Federico – Società della Cura Padova

Corrà Patrizia – ISDE Padova

Reina Sergio – Comitato 2SI Acqua Bene Comune Padova

Sbrogiò Gianni – Comitato 2SI Acqua Bene Comune Padova

Toller Rosalia – Società della Cura Padova

Zanatta Bruno – Comitati NO quarta linea Padova                                        

Padova 4 gennaio 2022