19/04/2024

Stufi delle solite acque minerali? Il solito gusto di acqua sciapa (nonostante le centinaia di chilometri in autostrada) non lo reggete più? Ecco a voi l’acqua “di casa vostra”, disponibile in comoda fontanella direttamente al supermercato (avranno messo anche il distributore automatico di bottiglie di plastica in parte?)!

Decisamente un articolo ben scritto, per salvare la capra (le aziende imbottigliatrici di acque minerali) e i cavoli, ovvero le multiutility private che promuovono spontaneamente maggiori controlli. Brave! Ovviamente neanche una parola sulle proposte del Forum… Sottolineiamo solamente che un rubinetto attaccato all’acquedotto è diventato “un fontanello di Publiacqua, utility dell’area fiorentina, dove rifornirsi di acqua senza sborsare neanche un centesimo. Un risultato raggiunto grazie all’accordo, primo del genere in Italia, tra Publiacqua e Unicoop Firenze, che si inquadra all’interno di una campagna a favore del consumo di acqua del rubinetto promossa dalla principale catena della grande distribuzione italiana.” Quando si dice la forza della comunicazione…

Riportiamo comunque tutto l’articolo, che potrete così legggere senza la pubblicità, in atttesa di qualcuno di voi che ci spieghi per quale motivo, se l’acqua di Publiacque esce anche dal rubinetto di casa, bisogna andare fino alla coop a prenderla…

LA CAMPAGNA

Quanto è buona l’acqua di casa
Ora arriva anche al supermercato

La Coop lancia una campagna per incentivare l’uso di quella del rubinetto. In Italia è quasi ovunque sicura e di qualità, eppure siamo i più grandi bevitori di minerale. Allo store di Gavinana una fontanella per rifornirsi senza pagare di MONICA RUBINO

Quanto è buona l'acqua di casa Ora arriva anche al supermercato Luciana Littizetto, testimonial della campagna “Acqua di casa mia”

IN ITALIA l’acqua di rubinetto è buona e, nonostante i recenti rincari delle tariffe, costa ancora poco. Gli italiani però sono i più grandi consumatori di acqua in bottiglia di tutta Europa (ne bevono 195 litri a testa all’anno) e i terzi al mondo dopo arabi e messicani. Può sembrare un paradosso, ma è la realtà. Qualcosa, però, comincia a cambiare: da oggi in un grande supermercato toscano alla periferia sud di Firenze l’acqua viene distribuita gratis. All’interno della Coop di Gavinana, infatti, è possibile trovare un fontanello di Publiacqua, utility dell’area fiorentina, dove rifornirsi di acqua senza sborsare neanche un centesimo. Un risultato raggiunto grazie all’accordo, primo del genere in Italia, tra Publiacqua e Unicoop Firenze, che si inquadra all’interno di una campagna a favore del consumo di acqua del rubinetto promossa dalla principale catena della grande distribuzione italiana.

Bere acqua imbottigliata, del resto, non incide solo sul bilancio familiare, ma costa caro anche all’ambiente. Dalle fonti alla tavola il trasporto dell’acqua mette in movimento nel nostro paese ogni anno 480.000 tir (che, messi uno accanto all’altro, formerebbero una fila di 8.000 km, un viaggio andata e ritorno Roma-Mosca). Se poi all’acqua bevuta si aggiunge quella consumata (per mangiare, lavare, far funzionare siti produttivi e agricoli e così via) si scopre che ogni italiano usa al giorno 237 litri d’acqua (uno statunitense 425, un francese 150, un abitante del Madagascar 10).

Sul prezzo non c’è  competizione: la cosiddetta “acqua del sindaco” secondo Legambiente costa in media 0,5 millesimi di euro al litro, mentre quella in bottiglia si aggira intorno ai 50 centesimi di euro al litro. Secondo una recentissima indagine di Federconsumatori svolta su un campione di 72 città italiane, negli ultimi dieci anni la bolletta dell’acqua è salita dell’85%, con differenze notevoli tra i vari capoluoghi (a Milano si pagano in media 107,79 euro l’anno contro i 447,23 di Firenze e i 204,08 di Roma). Nonostante quest’impennata, però, in Italia ci si disseta a prezzi ancora molto bassi rispetto ad altri paesi europei.

Il problema più grave e urgente da noi non è il costo dell’acqua ma il modo in cui questa viene distribuita. Gli acquedotti italiani rimangono i colabrodo di sempre: più di un quarto dell’acqua che trasportano si perde per strada.

GUARDA IL GRAFICO 1

Una volta entrata nelle case, lo spreco continua: consumiamo molta più acqua del necessario mentre al Sud, soprattutto d’estate, 8 milioni di italiani scendono sotto la soglia di emergenza e hanno il rubinetto a secco diverse ore al giorno. Basterebbe cambiare qualche abitudine per risparmiare acqua e denaro 2.

In questo quadro dai numeri sorprendenti, la campagna di Coop “Acqua di casa mia” punta proprio a diffondere un uso consapevole delle risorse idriche a partire dallo slogan: “Hai mai pensato a quanta strada deve fare l’acqua prima di arrivare nel tuo bicchiere?”. Alla domanda, sui manifesti e negli spot interpretati da Luciana Littizzetto che presto appariranno in giro per l’Italia e in tv, segue un invito piuttosto inusuale per chi l’acqua la vende da sempre: “Salvaguardiamo l’ambiente: scegli l’acqua del rubinetto o proveniente da fonti vicine”. Al consumatore resta poi la libertà di scelta tra queste diverse opzioni. Se per motivi di gusto o di salute non si vuole o non si può rinunciare alle acque in bottiglia (ma i dati Nielsen relativi al primo semestre 2010 registrano un calo del 4,7% del consumo di acque minerali rispetto al 2009) allora si può prestare attenzione a scegliere quelle minerali provenienti da sorgenti vicine che non hanno fatto molti chilometri sulle strade. L’imbottigliamento e il trasporto su gomma di 100 litri d’acqua che viaggiano per 100 Km (mediamente ne fanno molti di più) corrispondono, infatti, a circa 10 Kg di anidride carbonica (CO2) immessi in atmosfera. Se invece si sceglie l’acqua del rubinetto la produzione di CO2 è pari solo a 0,04 Kg. Un rapporto di 1 a 250.

A parte l’iniziativa di Gavinana, nei punti vendita Coop saranno presenti “scaffali parlanti”, nei quali verrà indicata la mappa delle acque 3, ossia la precisa localizzazione geografica delle fonti, in modo che il consumatore possa verificare quanti chilometri ha percorso la bottiglia che sta acquistando prima di finire nel suo carrello. Dal punto di vista delle acque minerali a proprio marchio, Coop ha “alleggerito” le bottiglie, riducendo la quantità di plastica impiegata in una percentuale tra il 13 e il 20%. Un’operazione che, nel complesso, ha prodotto un risparmio all’anno di 3300 tonnellate di CO2. Per evitare inutili sprechi nei consumi idrici dei propri punti vendita, inoltre, sono state adottate iniziative come l’utilizzo di riduttori di flusso per i rubinetti, scarichi a doppia cacciata per i wc, raccolta delle acque piovane. Infine, in coerenza con la campagna, Coop da un mese ha raddoppiato le fonti di approvvigionamento della propria acqua a marchio aggiungendo alle due sorgenti originarie (Grigna in provincia di Lecco e monte Cimone in provincia di Modena) quelle di Valcimoliana (Pordenone) e Angelica (Perugia). La disponibilità di quattro fonti (più un’altra al Sud ancora da individuare) permetterà di ottenere, a regime, una riduzione della distanza media che le bottiglie devono compiere di circa il 12%. Su scala annuale significa 235.000 chilometri in meno, pari a 388 mila chilogrammi di CO2 non emessi.

Del resto di fonti, nel nostro paese, ce n’è in abbondanza e l’Italia è ancora un paradiso per chi decide di entrare nel business dell’acqua in bottiglia. Ogni territorio dispone di un ricco patrimonio di sorgenti, dalle quali le aziende imbottigliatrici attingono a prezzi spesso irrisori. Le Regioni, infatti, elargiscono concessioni in cambio di tariffe molto convenienti. Non esiste una legge nazionale che regoli la materia, perciò ogni Regione si regola a modo suo. Alcune esigono una somma per ogni ettaro di terreno sfruttato; altre per ogni metro cubo d’acqua prelevato; altre impongono sia l’una che l’altra tassa. Le regioni più all’avanguardia hanno fissato tariffe diverse a seconda della quantità d’acqua estratta.

In realtà negli ultimi anni c’è stata un’inversione di tendenza. Prima la Lombardia, poi il Piemonte, il Veneto, il Lazio e la Toscana hanno cambiato sistema: più acqua si imbottiglia, più si paga. L’ultima regione ad essersi messa al passo con i tempi è la Puglia. La giunta regionale, a giugno scorso, ha aumentato il canone di concessione da 50 a 130 euro per ettaro.

Se nel settore delle acque minerali la concorrenza è spietata, non tutta l’acqua di rubinetto è buona allo stesso modo. Secondo un’indagine di Altroconsumo 13 città su 34 hanno ottenuto il massimo dei voti sul piano della qualità. Tra le prime della classe ci sono Ancona, Bergamo, Bologna, Perugia, Roma e Trento. Bocciate, invece, Catanzaro e Genova per la presenza di sostanze indesiderate come trialometani, nichel e alluminio. Si pone, dunque, la questione dei limiti di potabilità. Per poter entrare nelle nostre case, l’acqua deve rispettare parametri fissati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Sostanze come cloriti, arsenico, fluoro sono tollerate fino a una certa soglia. Il decreto legislativo 31/2001, oltre ad aver reso più stringenti questi parametri, ha introdotto la possibilità, per Regioni e Province, di derogare alle regole per 3 anni fino a un massimo di 9. Come evidenziato dall’Osservatorio di Cittadinanzattiva sui servizi idrici 2009, otto regioni (erano 13 nel 2007), hanno chiesto deroghe al ministero della Salute per poter dichiarare bevibili le acque in alcuni comuni dei loro teritori. Si tratta di Lazio, Lombardia, Piemonte, Trentino, Umbria, Toscana e Puglia, per livelli di arsenico e cloriti fuori norma. Problemi che in parte derivano dall’origine vulcanica di alcune aree geografiche, in parte da un eccesso di sostanze chimiche utilizzate soprattutto in agricoltura. Secondo la legge, chi sfrutta una deroga dovrebbe informare tempestivamente la popolazione. Un dovere che non sempre viene assolto. In tutta Italia 25 aziende locali di gestione dell’acqua – tra cui Hera, Smat, Acea e Mediterranea delle Acque con bacini di utenza che comprendono grandi città come Bologna, Torino, Roma e Genova – hanno aderito alla campagna di Legambiente e Federutility “Acqua di rubinetto? Si grazie!” e fanno controlli con una frequenza più alta di quella prevista per legge. Inoltre rendono disponibili i risultati delle analisi tramite i propri siti internet, le bollette o la stampa locale. Queste buone pratiche sono di esempio. Le aziende che distribuiscono acqua nelle nostre case possono fare di meglio per garantire ai cittadini qualità e sicurezza.

La Repubbblica – 07 ottobre 2010